Questo pezzo è apparso originariamente su Bennington Review numero 5, estate 2018

Padre mio, rivedo te o il cane morto. L’amore non ti ha fatto rialzare – stanza triste di fortuna guasta, lunghi graffi su pavimenti di legno, corteccia. Chiunque lei fosse, andata. Le finestre erano aperte, e abbiamo trascorso insieme del tempo, dieci minuti, forse. Poi ti abbiamo lasciato sulla poltrona. Sono bloccata in un’età stupita, non ho altro che me stessa, la pioggia, un pensiero. Uno sfondo, questo, non un paesaggio. E insieme un fiorire cupo. Il presente è sempre stato duro, per me che ho abbandonato. Che ho scritto sole flebile, mattino d’aria. I fili ti legavano alla parete. La questione della morte avanza, ti ci avvicini.

*

Sono fragile e sbandante, ho esattamente la tua ultima età.

*

Due corde lise: una tenebra, un complimento. A parlare dell’essere un fardello per gli altri, brezza sottile e petunie e cinguettio di uccelli che avremmo potuto sentire, se le finestre fossero state aperte. Come la scrittura, i sogni riaprono il dialogo. Non si può affrettare il lutto. Padre, ci immagino scontrarci come cavi stridenti. Ricordo un incidente per strada, la guida rabbiosa. Sono stata figlia della fortuna. Ora bloccata a un’età in cui devo farcela da sola. Tu che non sei sopravvissuto, perfino alla pioggia avresti potuto insegnare una o due cose. Da allora è stata dura per noi, che amiamo. Ogni giorno qualche tacito fiorire. Sono così arrabbiata con te. Va anche detto, la preoccupazione maggiore era che tu non capissi il senso di un Ti voglio bene. Non chiedevo nulla, il che mi imbarazza. Alla fine mi hai donato opali e rose perché ti ho sognato.

*

Tu, una tenebra

Io forse non posso

Tu potresti dire

Io devo risolverti

Tu, contro il tempo

Io, guida rabbiosa

Io, pavimenti, corteccia

Io, minuti andati

Tu che riaprivi il dialogo

Io posso

Tu no, Padre

Io immagino il nostro scontro

Tu che sognavi di essere peonie

Tu che te ne sei andato

Io sono bloccata

Io che ho sempre sognato finestre gialle

Tu mi hai dato corde

Tu che ti affrettavi

Tu alla fine hai avuto

Tu forse no

Io ho scritto sole flebile, mattino

Io ti ho dato la pioggia

Tu sorpreso

*

Quell’aria triste cercava di dire sempre la stessa cosa. La paura più spesso dichiarata: un dialogo fiacco o lo scontro. Un biglietto, un cane morto, perché ho sognato che non eri altro che quel che riesco a ricordare. Sei il mio silenzio e grido. Perché ti ho scritto un paesaggio – adesso e allora insieme. Nel 1992, erano aperte le finestre gialle quando gli apparecchi si zittirono. A volte sento un certo dolore. Padre, delle peonie e di qualche inclinazione più oscura, alla fine il mio sbandare mi ha dato una parola per chiamare gli uccelli per ciò che sono.

*

Padre del mio sbandare

Padre della preoccupazione maggiore

Padre di paesaggio liso

Padre di apparecchi che si zittiscono

Padre del mio silenzio e grido

Padre delle peonie e della mia inclinazione più oscura

Padre del sole flebile

Padre del mio cane morto

Padre di certi lunghi graffi sul legno duro

Padre della (mia) parola fiacca

Padre di nulla

Padre dell’incidente

Padre del dopo, sorpreso

Padre di aria triste, alla fine

Padre di fili legati e scontro

Padre del mio tacito fiorire

Padre di finestre aperte

Immagino non ti restino che minuti, forse. Cinguettio di uccelli.

*

Ti ricordo con un certo dolore, il più delle volte come un’immagine alla finestra, ora. Ma c’è mai stata una finestra? È memoria o sogno di Petunie, due cose da discutere: l’amore e il fiorire del fardello, la brezza scura. Per risolvere quell’attimo in qualche modo, ti racconto. Scrivendo dell’essere sempre in cerca. Cinguettii di un liso mattino ingiallito. Padre, la paura avanza, parlando, sbandando. Ho esattamente la mia età. Sono la tua urlante, sorpresa figlia. Non sono guasta. Chiunque io sia è opale e sogno. Va avanti.

Titolo originale, Father of the open window, copyright @ Sheila Squillante, all rights reserved.
Traduzione di Agnese Capaccioli