Questo pezzo è apparso originariamente su ZYZZYVA vol. XXXIV, numero 3, inverno 2018

La sua area di servizio preferita si trovava nei pressi dell’autostrada, a metà strada tra una città universitaria e una metropoli. Era piccola, solo un negozietto, un ristorante e una pompa di benzina, ma circondata di alberi alti dal tronco sottile. Dietro l’area di sosta c’era un terreno infestato da erbacce e, subito dopo, la sua minuscola cittadina. In quel weekend festivo le giornate erano fredde ma assolate. Una volta uno dei suoi professori aveva chiamato quel momento del giorno, quella luce del tardo pomeriggio, l’ora di Cechov. Chissà perché, gli era rimasto impresso. Ci pensava spesso.

Charles canticchiava, gli occhi puntati su un suv verde scuro. Aspettò qualche istante dopo che l’uomo, dal lato del conducente, aveva chiuso la portiera. Lo aveva visto tornare con una busta piena di cibo e almeno due bevande calde, e quindi Charles sapeva che gli ci sarebbe voluto un po’ per sistemarsi.

Era la macchina giusta, una Subaru, probabilmente veniva dall’università da cui il corteo di qualche mese prima aveva scosso il Paese, tutti così sorpresi, così sconvolti, perché a quanto pare la gente aveva bisogno di vedere bandiere e fiaccole per convincersi che ci fossero guai in vista.

Era la famiglia giusta: nessun bambino agitato o neonato in lacrime. Nessun cane da portare a spasso. L’uomo, sulla cinquantina, stava passando il cibo a una donna sul sedile del passeggero e a una ragazzina su quello posteriore.

Una volta avvicinatosi al finestrino del conducente, non avrebbe bussato. Non si faceva così. Avrebbe fissato negli occhi uno di loro, la ragazzina sul retro magari, anche se era sempre più complicato adesso che quasi tutti avevano uno schermo da fissare.

***

«Papà». Poi di nuovo, un attimo dopo, «Papà».

«Sì, lo vedo».

«Tesoro?» disse la moglie.

«Siamo in ritardo. Mia madre ci aspettava un’ora fa».

«Papà, dici sempre che dovremmo… Sai che c’è? Lascia stare».

***

Charles li vedeva muovere le labbra. Adesso che era più vicino, riusciva a vedere che la ragazzina era un’adolescente e che i genitori sembravano nervosi. Forse a causa sua, o forse stavano ascoltando il notiziario alla radio, magari si preparavano per andare a trovare la famiglia. Finì di canticchiare il suo inno. Ecco perché quei weekend nelle aree di servizio erano così proficui. Fuori, per strada, c’era un sacco di gente in preda a una specie di frenesia. L’auto era in moto e i finestrini iniziavano ad appannarsi. Fece un altro passo, piegandosi un po’ sulle ginocchia, e poi fece un cenno.

***

Fosse stata un uomo, avrebbe subito abbassato il finestrino, ne era certa. Oppure se fosse stata una donna ad avvicinarsi all’auto. Ma probabilmente una donna non avrebbe fatto l’elemosina a quel modo: per lei non sarebbe stato altrettanto sicuro. Da aggiungere alla lista delle ingiustizie! Sbuffò forte dal naso e posò il caffè. Poi si sporse sopra al freno a mano e guardò più da vicino perché, come sua figlia amava ripetere, basta pregiudizi. Quell’uomo era esile, ma aveva pur sempre l’aspetto di un uomo. E non era vestito poi così male: vestiti adatti per il clima, scarpe di pelle, mani pulite. Portava perfino degli occhiali, anche se a un secondo sguardo notò che la montatura era senza lenti.

Mentre tornava ad appoggiarsi allo schienale squillò uno dei telefoni nell’abitacolo. Campane: quello della figlia. Aveva cambiato suoneria in occasione delle feste. Ma la figlia non rispose, perché dopo essersi rivolta al padre si era infilata le cuffie, attaccate al portatile. Le campane suonarono per tre volte prima che lei si girasse e le stringesse il ginocchio.

«Perché sei così arrabbiata?» chiese lei, tirando le cuffie così forte da staccarle dal computer. Per un istante l’abitacolo fu invaso dalla musica, un frastuono del tutto fuori contesto. La figlia abbassò lo schermo e rispose al telefono.

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L’uomo capì che sua moglie voleva che prendesse in mano la situazione. Espressione divertente, «prendere in mano». Prendere cosa? E in quale mano? Alla fine di ogni anno facevano già un bel po’ di beneficienza, dividendo i loro contributi tra diverse cause nobili: diritti umani, ambiente, alcune attività del posto che gli stavano a cuore, tra cui due teatri e un parco. In passato avevano valutato la possibilità di darli direttamente ai senzatetto e avevano deciso che non era il modo migliore di destinare le loro risorse. Dallo specchietto retrovisore diede un’occhiata a sua figlia, che era al telefono. Il fatto era che ormai c’era di mezzo un’adolescente. Le avevano parlato delle loro donazioni e quell’anno le avevano chiesto se le sarebbe piaciuto scegliere un ente di beneficienza, ma non era sicuro che fosse sufficiente. «La mia paghetta per i vestiti» aveva detto lei, per poi aggiungere che stava scherzando e scegliere il wwf.

Aveva una nuova custodia per il cellulare piena di brillantini dorati che galleggiavano in un gel.

Lui guardò l’uomo in piedi fuori dalla macchina. Era il momento giusto per un insegnamento? Forse sì.

***

Charles notò che la famiglia era vestita bene: giacca e cravatta natalizia per l’uomo, abiti in delicate tonalità di rosa e rosso per moglie e figlia. Gioielli. Stavano sicuramente andando a una festa di famiglia, o forse a messa, o entrambe.

Si chiese se aveva scelto la famiglia sbagliata. Forse avevano troppa fretta.

Si guardò attorno. Non aveva molte alternative. Stavano riasfaltando il parcheggio, in quel momento era smantellato e parecchie macchine evitavano di fermarsi, guidando fino all’area successiva per evitare la polvere.

Quando l’uomo iniziò ad abbassare il finestrino, Charles sorrise.

***

«Ti richiamo» disse la figlia.

***

«Ha bisogno di qualcosa?» chiese l’uomo.

Charles si assicurò di non essere troppo vicino all’auto. Annuì. «Scusate per il disturbo, ma sono in difficoltà». Era tutta una questione di vocabolario.

«Di che si tratta?»

Non doveva sforzarsi di sembrare nervoso, perché lo era. Ogni volta. Guardò oltre la sua spalla. «Subito oltre quel campo c’è la strada dove vive mia zia. Abita in una casa di cura e quando posso vado a trovarla. Prendo l’autobus, perché si ferma proprio lì». Si voltò di nuovo indicando. Oltre le erbacce si intravedeva la cupola usurata della fermata dell’autobus. «Avevo i soldi per il ritorno, ma quando sono arrivato mia zia aveva bisogno di alcune cose e aveva il conto in rosso. Ho dovuto aiutarla». Si interruppe, deglutendo per l’emozione.

«È stato gentile da parte sua» disse l’uomo. La donna annuiva. Un’auto attraversò velocemente l’area di sosta, sollevando una nube di polvere rossa.

«Sono venuto qui a piedi perché conosco il gestore di uno dei negozi. Volevo chiedergli i soldi per tornare a casa, ma purtroppo oggi non c’è. Stavo cercando di capire cosa fare quando siete arrivati voi».

«Quanto le serve?»

La ragazza disse, «Che importa quanto, papà?».

Charles sorrise. «Certo che importa». Fece un passo avanti. «Il biglietto costa sei dollari e quarantanove centesimi».

«Dove deve andare?» chiese l’uomo.

«Voglio solo tornare da dove sono venuto. Un po’ più a sud dell’università» disse Charles sistemandosi gli occhiali.

«Scottsville?» chiese l’uomo.

«Sì».

«La conosco».

***

Quando aprì il portafogli non aveva un piano. Era solo delusa dal fatto che suo marito avesse bisogno di dettagli. Perché non gli dava i soldi e basta? Era così importante essere pignoli quando era evidente che quell’uomo aveva bisogno di aiuto? Le ricordava il modo in cui affrontava tutte le loro questioni finanziarie: con la precisione di un matematico e l’entusiasmo di una patata. Il modo in cui continuava a ripetere «socioeconomico» senza mai parlare di «benessere». Ne era stufa. Avevano più di quanto gli servisse, di certo a sufficienza per aiutare quell’uomo con gli occhiali senza lenti. Con la coda dell’occhio vedeva la figlia che li osservava, per una volta attenta e senza fissare uno schermo.

«Ecco. E mangi qualcosa» disse, sporgendosi sopra al marito per passargli venti dollari dal finestrino.

Charles canticchiò un motivetto mentre prendeva la banconota. «È molto gentile da parte sua. È più del necessario, ma ovviamente non ho il resto».

«Si figuri» disse lei allegramente. «Buone feste».

«Grazie» disse Charles. «Anche a voi. Sono fortunato. C’è un autobus tra quindici minuti. Siete stati i primi a cui ho chiesto».

«Questa sì che è fortuna».

«Era destino» disse Charles prima di fare un ultimo passo in avanti e sporgersi oltre l’uomo all’interno dell’auto.

***

L’aria odorava di legna bruciata, gli fece tornare in mente l’incenso che aveva accompagnato gli inni della sua gioventù, quando ancora cantava nel coro, quando ancora credeva in Dio. Quando stringeva la mano del suo vicino e diceva, Che la pace sia con te. Dopo qualche passo nell’erba alta Charles si fermò. Oltre la fermata dell’autobus vedeva le insegne luminose di Main Street. Si voltò e tornò verso il fisso bagliore dell’area di servizio, dove avrebbe cenato e sorseggiato un caffè senza che nessuno lo disturbasse. E non sarebbe stato solo. Spesso alcuni di loro si ritrovavano lì, dai margini della catena produttiva, in un ristorante di catena. 6 dollari e 49 era il prezzo del suo menu preferito. Doni di Dio per i figli di Dio, senza dubbio.

***

«Secondo voi diceva la verità?» chiese ai genitori. Dal sedile posteriore si voltò per guardare l’uomo allontanarsi mentre suo padre si accodava a una fila di traffico lento.

«Sì» disse il padre proprio mentre sua madre stava dicendo, «Non lo so».

«Sta andando verso la fermata dell’autobus» disse lei.

La madre si voltò verso il padre. «E allora perché lo stavi torchiando?»

«Non avevo intenzione di torchiarlo» rispose. «Stavo cercando di fare conversazione».

«Nemmeno la conosci, Scottsville» disse lei.

«Ho vissuto lì vicino per un po’».

«Vicino».

«Stavo cercando di farlo apparire come uno scambio dignitoso».

«Le persone si trattano con dignità» disse la madre. «Non è questione di apparenze».

«Appunto» disse il padre.

La madre abbassò lo sguardo. «Sì, be’. Non sapevo perché si stava avvicinando all’auto. Aveva già i soldi».

«Per stringerci la mano? Per ringraziare?» disse il padre.

Dopo qualche minuto la madre parlò con calma. «Forse voleva darci il cinque» disse lei. Il suo telefono emise un fischio – yoo hoo – ma lei lo ignorò.

«Mi stavo chiedendo…» disse suo padre. «Perché non ha preso un biglietto di andata e ritorno?»

«Magari non si può, papà! Magari con gli autobus non funziona così! Che ne sai?»

Calò il silenzio, e il telefono di sua madre emise un altro fischio. E un altro ancora. Yoo hoo. Lo prese e lo spense.

«Accendiamo la radio?» disse la madre con dolcezza. «Che vi va di ascoltare?»

«Dove sta andando tutta questa gente?» disse suo padre, scuotendo la testa verso l’infinita processione di acciaio sulla strada.

***

Per diversi chilometri rimase voltata sul sedile posteriore, guardando fuori dal lunotto. Non vedeva più quell’uomo. Si erano allontanati troppo e il crepuscolo aveva avvolto il paesaggio nella penombra. Ma lei riusciva ancora a sentirlo, il suono che era uscito dalla gola della madre quando aveva colpito la mano di quell’uomo.

*

Jessica Francis Kane è autrice di due raccolte di racconti, Bending Heaven e This Close, e due romanzi, The Report e Rules for Visiting. Vive a New York con la famiglia.

Titolo originale, Dirt Church, copyright @ Jessica Francis Kane, all rights reserved.
Traduzione di Valentina Muccichini