di D. Gilson

Questo pezzo è apparso originariamente su Bennington Review numero 7, autunno/inverno 2019

La sera in cui nasco, mia madre dorme profondamente. È stesa in un letto d’ospedale del Lester E. Cox Medical Center (1423 North Jefferson Avenue, Springfield, Missouri), il corpo raggomitolato contro il cuscino, nella stessa posizione in cui dormirò sempre anch’io, rivolta verso la finestra a ovest. Sogna, come mi racconterà anni dopo, tutti i suoi figli che, ridendo, arrostiscono in cortile tranci del suo intestino, grossi pezzi tagliati in diagonale come fette di salame. Quel parto, l’ultimo per lei, non fu semplice. Podalico, un cesareo d’urgenza. Nei giorni a seguire una nebbia di anestetici e morfina e Percocet.

Immagino di aver dormito profondamente anch’io nel reparto di terapia intensiva neonatale. Ma non sono affatto la star nella storia delle mie origini. Sono a malapena presente. E non perché i miei genitori fossero negligenti − semmai l’opposto − ma perché fui tenuto in isolamento, maneggiato in quei primissimi giorni solo da infermieri e dottori imbacuccati.

La sera in cui nasco, le farmacie Walgreens allegano allo Springfield News-Leader un buono sconto da tre dollari su tutti gli asciugacapelli Con-Air. La sera in cui nasco, il presidente Reagan dice alla folla riunita nel parco di Waterbury, nel Connecticut: «Nel Paese di questi tempi tira una nuova aria. Lo zio Sam è più spavaldo che mai». La benzina costa un dollaro e sedici. La pancetta tre dollari al chilo. Il reddito medio annuo è di 21.600$. La sera in cui nasco, mio padre non riesce a chiudere occhio. Rimane sdraiato sulla poltrona giallo senape dell’ospedale a guardare mia madre che dorme lì accanto. E guarda anche Simon & Garfunkel canticchiare dalla TV appesa all’angolo, in diretta da Central Park nel loro concerto più famoso proprio la sera in cui nasco.

All’apice della fama, subito dopo l’uscita di Bridge Over Troubled Water nel 1970, finito presto in vetta alle classifiche, Paul Simon e Art Garfunkel si mollarono. Già nel 1970 era evidente che Paul aveva eclissato Art sia come cantautore che in quanto amante dei riflettori. Una cosa non era, e tuttora non è, chiara: le circostanze, il chi o l’esatto perché della loro rottura. Da allora sono apparsi insieme di tanto in tanto, ma le frecciatine reciproche dalle pagine dei giornali non sono mai mancate. Addirittura nel 2015 Garfunkel, intervistato dalla ABC, chiese a Simon: «Come si fa a voltare le spalle a tanta fortuna, una volta arrivati sulla vetta del mondo, Paul? Che ti è preso, razza di idiota? Deficiente che non sei altro, come hai potuto tirarti indietro?». Paul, stavolta, scelse di non commentare.

La canzone preferita di mio padre, «The Sound of Silence», uscì originariamente nel 1964 e divenne suo malgrado un inno contro la guerra in Vietnam. Di ritorno dalla base aerea di Bien Hoa papà si unì al movimento di protesta, venne scaricato dalla prima moglie e prese l’abitudine di sedersi nella veranda di casa sua a Biloxi, in Mississippi, ascoltando Simon & Garfunkel con in mano un Jack Daniels, nella speranza, racconta sempre, che la band si riunisse e lui riuscisse ad avere un figlio. Nel 1983 si innamora a prima vista di mia madre nel cortile dell’ospizio di Aurora, in Missouri, in cui lei lavora, un cortile rivolto a ovest verso il tramonto lilla, rosa e viola livido di una primavera agli albori sull’altopiano ondeggiante di Ozark. Entro l’estate si sposano. Entro l’inverno lei è incinta di me. E la sera in cui nasco, mio padre da una poltrona sorride. Non riesce a dormire. Sua moglie è sfinita, ha visto in faccia la morte, ma si riprenderà. Il figlio che ha sempre desiderato è attaccato a una sfilza di macchinari, visibile solo dietro una sfilza di strati di plexiglass, ma si riprenderà. Mio padre è felice, felice euforico e, ciliegina sulla torta, Simon & Garfunkel sono di nuovo insieme a Central Park, per la prima volta dopo la rottura, a cantare «The Sound of Silence» soltanto per il mio papà nuovo di zecca − così pensa lui.

La mattina in cui compio diciotto anni, mi porta a fare colazione prima della scuola, io e lui da soli. Alla Waffle House, fa scivolare un quadrato avvolto nella carta marrone sul tavolo in laminato che ci separa, poi si blocca e afferra al volo un mucchietto di salviette bianche dal vecchio portatovaglioli argentato, per togliere una macchia di sciroppo appiccicoso. Soddisfatto, mi fa scivolare il pacchetto fra le mani. «Aprilo». Lo scarto: un vinile, The Concert in Central Park, in perfette condizioni. «Sono andato fino a Fayetteville per trovarlo. È il concerto che ho guardato in ospedale la sera in cui sei nato tu».

È stato, ed è ancora, il regalo più dolce che abbia mai ricevuto. Un raro sfoggio di sentimento da parte di quest’uomo che, mi ha sempre assicurato mia madre, era davvero contento di avere finalmente un figlio.

«Grazie,» dico «lo adoro», ed è vero. «Ti voglio bene, figliolo» fa lui, assentandosi per andare in bagno mentre la cameriera posa sul tavolo due porzioni di waffle alle noci pecan, uova al tegamino, frittelle di patate e salsiccia, chiedendo: «Altro caffè?».

«Sì, grazie» rispondo, girando il disco dall’altro lato per leggere la scaletta. C’è una foto di Simon sopra una di Garfunkel sopra un gremitissimo Central Park, con a fianco la scritta: SEPT. 19, 1981. Il giorno del mio compleanno, ma non della mia nascita. Sono nato tre anni dopo, il 19 settembre 1984. La storia che mio padre ama raccontare sulla sera in cui sono nato è una menzogna. La storia delle mie origini è andata perduta, e io sono confuso. Forse hanno davvero mandato in onda il concerto quella sera, magari una replica? Forse, mi chiedo per un istante, i miei genitori hanno mentito sull’anno di nascita? Forse − o senza forse, questo lo so − mio padre è convinto che Simon & Garfunkel si siano riuniti la sera in cui sua moglie dormiva, la sera in cui sono nato io, ed è questa la storia che lui sceglie per le mie origini. E vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona, e fu la sera in cui sono nato, e fu mattina.

Il primo capitolo della Genesi sostiene che Dio abbia creato Adamo per ultimo, ma il secondo dichiara che c’erano solo acqua e terra e che «il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». Mio padre sostiene che io sia nato la sera in cui Simon & Garfunkel hanno suonato solo per lui, ma il retro di un album originale dichiara che c’erano Simon, Garfunkel e un altro mezzo milione di persone a cantare nel parco tre anni prima che un macchinario mi soffiasse nelle narici un alito di vita. Se la Bibbia si contraddice, è un bel problema per i cristiani. Ma se è mio padre a contraddire la storia della mia nascita, io forse non sono ancora nato?

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Titolo originale, Genesis, copyright @ D. Gilson, all rights reserved.
Traduzione di Beatrice Messineo.