IN CUI SI PARLA DI: brividi, fremiti, orgasmi della pelle, esperienze musicali forti, Darwin, una residenza per artisti nel Midwest, privacy, Rachmaninov e Adele, la sigla di Mission: Impossible, teorie sull’origine del ritmo, maternese, Hallelujah di Leonard Cohen, richiami sessuali, dinamiche di gruppo

Un’intrepida corrispondente esplora il rapporto tra la musica e l’orgasmo femminile

Questo pezzo è apparso originariamente su The Believer, agosto/settembre 2017

«O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro».
Cantico dei cantici, 2:14

Io li chiamo «fremiti», quelle ondate che mi risalgono la schiena e le braccia e si infrangono dietro il collo quando lei, con le dita, si muove dentro di me. Una febbre momentanea.

La parola fremito, che significa «brivido di piacere», è stata utilizzata in un articolo di Frontiers in Psychology, nel 2014, per descrivere «momenti trascendenti, psicofisiologici di esperienza musicale». Altri ricercatori hanno preferito i termini «brividi», «sussulti» e «orgasmi della pelle» in riferimento a reazioni simili verso la musica, riferendosi a sensazioni sia fisiche che emotive.

In tutte le ricerche che ho analizzato l’elemento sorpresa era fondamentali per ottenere il piacere fisiologico. Le note che deludono le aspettative del cervello, senza però interrompere la musicalità e diventare banale rumore, producono degli incrementi emozionali, fanno venire la pelle d’oca e una sensazione di scossa elettrica: i fremiti. Esempi? Il «Concerto per pianoforte e orchestra n. 2» di Rachmaninov e «Someone Like You» di Adele.

Io non sono una scienziata, né una musicista. Sono una scrittrice e artista, e vivo nel Midwest degli Stati Uniti. Voglio soltanto capire se i suoni che emetto durante l’orgasmo sono gli stessi che stimolano il fremito, con cui vanto un’esperienza piuttosto variegata. E c’è anche il fatto che mi sono innamorata da poco e il mio corpo sprizza desiderio da tutti i pori. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sento pervasa dai brividi, dentro di me qualcosa pulsa al pensiero di lei. È una sorta di fremito infinito, e mi sento diversa. Non è così ogni volta?, insinua una vocina. Sarà stato proprio questo dubbio ad avermi spinto ad accettare l’incarico di indagare sulle qualità musicali dell’orgasmo femminile. Sono da sempre ossessionata dalla musica, e spesso ho notato molte somiglianze tra i fremiti che provo ascoltando le mie canzoni preferite e quelli stimolati in me da un’amante. In un certo senso il mio legame con la musica è più forte, mi spinge a un abbandono più completo, e ora che sono nel pieno di una nuova relazione decido di individuare i parallelismi. Chissà perché, l’idea di poter comprendere la «musica sessuale» mi entusiasma.

Ma che succederebbe se imparassi a misurare gli effetti dell’amore e quello che provo adesso, che mi sembra così reale, non risultasse adeguato?

Ad ogni modo. Sfortunatamente la mia stanza è adiacente alla cucina comune del dormitorio e, siccome dovrò registrarmi mentre mi masturbo, l’idea che qualcuno mi senta mentre si prepara il tè non mi entusiasma. Sarò anche una pervertita, ma di certo non un’esibizionista. Passo in rassegna le varie possibilità (la sala conferenze è insonorizzata – no, troppe finestre; l’auto a noleggio – forse, anche se ora piove e non ho l’ombrello) e rifletto che, se mi mettessi seduta nel bagno qui accanto con la porta chiusa, mi coprissi completamente con una coperta e accendessi l’aspiratore, dovrei essere abbastanza tranquilla.

Avvio la registrazione sull’app che ho scaricato di recente sul cellulare e tengo il microfono vicino alla bocca (con la sinistra). L’inizio è più difficoltoso del solito, per via delle piastrelle fredde del pavimento e dell’ansia da prestazione, ma faccio del mio meglio per gemere in modo naturale, perfino più liberamente di quanto non farei nella mia casa di New York, dove ho molti, troppi vicini. L’aria fresca che mi investe quando finalmente mi tolgo di dosso la coperta è una liberazione.

L’applicazione che ho usato assegna tonalità approssimative ai suoni che registra, determinandone la metrica e il tempo. È una scommessa utilizzarla per la voce umana se non si canta, ma tutto sommato si tratta di un esperimento creativo, non certo scientifico. La prima registrazione mostra un’enfasi per i Fa nelle prime sette battute, e quando accelero il ritmo verso la fine, proseguo con i Fa, aggiungendo qualche Re e Sol. Vengo sempre in Fa. A livello di ritmo, tutti i quarantasei secondi della «canzone» sono in 5/4, con un tempo di 90 bpm. Questo tempo è insolito e uno degli utilizzi più famosi che se ne è fatto è stato nel famosissimo tema musicale di Mission: Impossible. I 90 bpm, invece, sono normali e si trovano in una miriade di canzoni diverse – esempi: In Da Club di 50 Cent, River of Dreams di Billy Joel e Champion di Buju Banton (la mia preferita fra le tre). Ascoltando questi pezzi non riesco a fare a meno di pensare che la combinazione tra il classico di Buju e la sigla di Mission: Impossible non suoni granché bene…

Ascoltare la colonna sonora della mia masturbazione, devo dirlo, è stata una tortura. Per fortuna l’app uniforma i volumi e «suona» le note anche quando gemo a voce così bassa da sembrare un gatto intrappolato sotto una macchina a cinque isolati di distanza.

«È strano» mi dice un’amica al telefono «che tu riesca a scrivere di sesso in modo così esplicito ma che non riesca ad ascoltarlo».

«Ma non è sesso, dai».

«Allora ti chiedo, credi di riuscire ad ascoltare una registrazione di te che fai sesso?»

«Oh no, assolutamente no».

Il volume a cui devo ascoltare Rachmaninov per sentire qualcosa, qui sotto il mio riparo, rende il pezzo facilmente rilevabile dall’app, perciò rinuncio a registrarmi e cerco di valutare empiricamente se i miei orgasmi siano influenzati dalla musica o accompagnati da qualche «orgasmo della pelle».

Non ho orgasmi «migliori» di altri, ma di certo quando vengo con Rachmaninov in sottofondo l’esperienza è notevole. La canzone di Adele, invece, mi ricorda brutti momenti che ho vissuto proprio nel periodo in cui usciva il pezzo, quindi è normale che ascoltandolo abbia difficoltà a venire.

Registro una rapida serie di altri sei orgasmi. In tutti mantengo una tonalità, al massimo due, fino alla fine – o in altre parole, secondo il famoso modello Masters e Johnson di risposta sessuale (Eccitazione, Plateau, Orgasmo e Risoluzione), la parte finale della fase Plateau, in cui vario maggiormente a livello di note. A livello di tonalità, invece, ho una forte tendenza al Sol: in una sequenza l’app ha individuato ventisette Sol su quaranta note totali. In un’altra, dodici su diciassette. A livello di ritmo mi assesto intorno ai 5/4, anche se aumento il tempo a ogni orgasmo. Negli orgasmi consecutivi passo da In Da Club a Play di David Banner (95 bpm), concludendo sui 111 bpm di Over Now degli Alice in Chains.

Non ho ancora raggiunto il massimo della mia «capacità orgasmica», solo che non ho più voglia di masturbarmi sotto una coperta seduta per terra. È importante, però, dire che ho usato lo stesso metodo che impiego per ascoltare le mie canzoni preferite: sono stata ripetitiva, costante, finché non ho raggiunto una sorta di vicolo cieco e non ho più potuto proseguire.

Gli scienziati hanno monitorato alcuni soggetti, sottoponendoli a risonanza magnetica mentre provavano il cosiddetto «fremito»: hanno scoperto che «l’aspettativa prima e la risoluzione poi, stimolano il rilascio di dopamina in due zone chiave, il nucleus caudatus e nucleus accumbens, poco prima e appena dopo l’arrivo dei fremiti». In parole povere, la musica che produce fremiti stimola gli stessi percorsi neurali di altri comportamenti che danno dipendenza, incluso naturalmente l’orgasmo. E quando si è provato a bloccare questi ricettori, si è scoperto che i soggetti provavano orgasmi della pelle stimolati dalla musica molto meno di frequente.

Negli anni Novanta ero adolescente e mi piaceva registrare una sola canzone su un lato della cassetta, ripetendo il procedimento sull’altro lato. Ascoltavo lo stesso brano in continuazione e, quando mi stancavo, mi sentivo come quando finivo una scatola di cioccolatini o, da adulta, una sigaretta – come mi sento a volte dopo una serie di orgasmi auto-indotti: soddisfatta e un po’ triste.

Nel 2003 due medici israeliani, su richiesta della loro paziente, hanno eseguito uno studio intitolato «Donna con alta capacità di provare orgasmi multipli». «Anonimo», la donna oggetto dell’esperimento, era in grado di avere più di duecento orgasmi uno dietro l’altro. A livello di sensazioni post-orgasmiche sosteneva che quella capacità la faceva sentire sempre «superiore» e speciale, le infondeva una certa sicurezza. «Mi conforta sapere che so fare almeno questo» diceva. Posso capirla.

Anch’io e la mia ragazza siamo multiorgasmiche. Sebbene nessuna delle due se ne fosse mai resa conto prima di incontrare l’altra. Temevamo di essere considerate «strane», e non c’è da meravigliarsi visto che nel XIX secolo questa caratteristica veniva curata «applicando sanguisughe a vulva e ano, e cauterizzando il clitoride». Per giunta furono impiegati per la prima volta anche i raggi X per irradiare e distruggere il clitoride dei soggetti in questione. L’ho scoperto per puro caso facendo qualche ricerca per questo articolo, anche se ovviamente convivevo da sempre con l’eredità lasciata da quelle vecchie credenze.

Quando io e la mia ragazza ci siamo trovate, abbiamo scoperto quella che lei chiama «l’infinito circolo del piacere», perché il suo orgasmo stimola il mio e il mio il suo, e così via, e andiamo avanti finché non ci stanchiamo o decidiamo di smettere. E i suoni, i gemiti, sono parte integrante di questo rapporto. Ci plasmiamo l’una sul volume dell’altra, senza badare molto al nostro. Forse è così che nascono le migliori jam session.

Posso confermare che i suoi gemiti mi fanno venire i fremiti, una sensazione molto simile all’orgasmo della pelle che mi coglie ascoltando le ultime battute di Rachmaninov – brano che ho ascoltato in continuazione per scrivere questo pezzo.

Sebbene la qualità sia diversa, provo ugualmente piacere accorgendomi che è interessata ai miei esperimenti in bagno. Finora il mio lavoro, e questo incarico, ha stimolato in lei una curiosità quasi pari alla mia. Quando ride sentendo che mi sono messa addosso una coperta, rido con lei, e nella mia risata c’è una punta di sollievo.

Molto è stato detto e scritto dei richiami di accoppiamento maschili nelle varie specie. In L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, Darwin espone la sua teoria descrivendo i canti di accoppiamento degli uccelli, e come secondo lui i tratti più sessualmente appetibili si diffondano tra i vari esemplari di una specie. Poi applica questo modello a una teoria dell’origine della musica tra gli uomini: «È probabile che i progenitori degli uomini, maschi e femmine che fossero, prima di acquisire il potere di esprimersi reciproco amore con un linguaggio articolato, fossero costretti ad ammaliarsi l’un l’altra con note musicali e ritmi». Un’idea romantica, seppur scientifica: la musica è figlia della seduzione.

Altri scienziati hanno ipotizzato che tutti gli esseri umani siano nati con una voce dalle tonalità perfette e, in quanto unici primati che non (o non più) comunicano attraverso il canto, queste nostre doti comunicative sono state relegate al mondo della «musica». Io amo la musica e questa teoria mi attrae, anche se da essere umano che ama il prossimo stento a crederci. All’inizio della nostra relazione, la mia ragazza e io siamo state separate per cinque settimane, e abbiamo nutrito il nostro neonato legame esclusivamente al telefono. Ossia, ci siamo corteggiate a voce. Mi sono innamorata di lei sentendo la sua voce che mi è diventata familiare – le tonalità, il ritmo, il lieve accento del Sud, la sua risata – molto prima dei contorni del suo corpo. Come potrei non definire melodica quella nostra comunicazione? Dire che la seduzione dipende unicamente dal significato delle parole, estraniare i nostri suoni dal concetto di musica è come voler separare il suono di una poesia dal suo significato. Impossibile.

Il canto degli uccelli è stato studiato a fondo per le sue proprietà comunicative, e si è scoperto che ha insito il potere di attirare l’altro sesso, di creare legami, di esplorare il territorio e a volte tutte queste cose allo stesso tempo. Per esempio, il comportamento coordinato dello scricciolo dalla coda colorata combina il richiamo sessuale con dinamiche territoriali di gruppo. Meno noti sono i ritmi della lucciola del sud-est asiatico, che per ore emette segnali perfettamente coordinati con quelli degli altri; oppure il canto di alcune cicale, o il movimento sincronizzato delle chele dei maschi di granchio violinista.

Anche l’uomo dipende dal ritmo. In una ricerca condotta dall’Università di Vienna, i partecipanti, a coppie, hanno dovuto articolare frasi senza senso solo per «far combaciare» le voci. Diciotto coppie su venti ce l’hanno fatta senza sforzo e con la ripetizione hanno trovato facilmente un ritmo comune. Nel leggere di questo esperimento non ho potuto fare a meno di ripensare a quelle telefonate, l’andamento così naturale della nostra conversazione, le risate sincronizzate. E anche ai nostri corpi che si muovono all’unisono come quelli di ballerini esperti, che improvvisano sulla stessa canzone. Anche noi abbiamo trovato facilmente un ritmo comune.

Se mi è venuto in mente di registrarci mentre facciamo sesso? Ovviamente. Ma mi sono costretta a soffocare questo pensiero, così come per molti anni mi sono costretta a soffocare i miei gemiti ogni volta che avevo un orgasmo. Se non riesco a sopportare neppure i suoni che emetto io, come posso sopportare quelli che emetto in compagnia della mia amante? Pensate ad esempio al lieve disagio che sempre si prova nel riascoltare la propria voce, ad esempio sulla segreteria. Ecco, moltiplicatelo all’infinito. La mia ragazza dice che ho orgasmi rumorosi (che lei adora), ma, anche se temo abbia ragione, io non mi sono mai sentita e sono felice di questa mia sordità. È una di quelle cose cui non voglio fare caso, su cui non voglio riflettere più di tanto.

Perché tengo molto alla mia mancanza di inibizioni. Buona parte delle mie prime interazioni sessuali era regolata dal concetto di prestazione e di conseguenza risultava svuotata di piacere. Come sospetto che siano quelle di molte adolescenti. È questo il prezzo da pagare per l’egemonia eterosessuale. Uno dei motivi principali per cui il sesso con le donne, per me, è molto più piacevole di quello con gli uomini è la libertà che ti assicura a livello di prestazione. Con lei, più che con altri, mi lascio andare senza vergogna e tengo molto a questa libertà, più di quanto mi interessi scoprire come suona la musica del nostro sesso. È un’intimità profonda, senza precedenti, e quindi preziosa. Ho paura di sfidarla indagando a fondo aspetti reconditi della mia mente.

E, d’altro canto, che cosa ne penserebbe lei?

Prevedere le reazioni del nostro partner, come andare a tempo con la musica, potrebbe essere una specie di «priorità biologica», un fattore mentale e anche emotivo. In effetti, la conclusione tratta dagli scienziati austriaci, autori della ricerca descritta sopra, dimostra una «maggiore regolarità di intervalli tra le parole cercata appositamente per facilitare la sincronia, con ogni probabilità per fare in modo che i partecipanti potessero prevedere con precisione il ritmo del discorso dei compagni e vi si sintonizzassero». In altre parole, troviamo un ritmo condiviso per facilitare la sincope.

Ecco rivelata la teoria dell’origine del ritmo musicale che si è evoluto, quindi, come metodo per ottenere sincronia vocale. Ma perché ricercare la sincronia (se non esplicitamente richiesta nell’ambito di un esperimento)? Una teoria afferma che emettere segnali in coro garantisce un vantaggio sessuale, almeno nel caso del grillo comune. Quando viene spinta a «scegliere» tra il canto di un maschio e un duetto, la femmina sceglie quasi sempre quest’ultimo.

Altra teoria: la capacità di trovare un ritmo comune è attraente perché implica altre doti analoghe. C’è chi ipotizza che uomini in grado di sincronizzarsi attirassero più donne nel proprio insediamento, per la semplice ragione che, insieme, facevano più chiasso. Non posso fare a meno di chiedermi se questa teoria possa o meno spiegare il fascino senza tempo dei musicisti: se un uomo sa tenere il ritmo, cantare con altri, forse c’è qualche istinto atavico che gli riconosce un talento per la sopravvivenza, che considera il pubblico un equivalente moderno di un promettente insediamento umano della preistoria. Fatto ancora più convincente, i ricercatori austriaci hanno scoperto che «una buona sincronia potrebbe anche rivelare qualcosa della capacità di collaborazione all’interno di un determinato gruppo, fattore che nell’antichità veniva probabilmente considerato utile per acquisire risorse e difendere il territorio».

Quest’ultima teoria – il ritmo che si è evoluto per facilitare la collaborazione – è quella che per me ha più senso. Il canto sincronizzato, è dimostrato, aumenta la fiducia e la collaborazione tra i cantanti, e molte forme di sincronia, dal camminare fino all’utilizzo di oggetti bimanuali, aumentano l’affinità interpersonale e l’inclinazione ad aiutare il prossimo. In sostanza, la sincope ci lega.

Amo la danza quanto amo il sesso e non c’è bisogno che pubblichi articoli su Biology Letters per dimostrarvi quanto sia piacevole ballare in compagnia. Ma è scientificamente provato: individuare e imitare il ritmo del corpo dei nostri compagni di danza stimola il rilascio delle endorfine, mentre guardare gli altri ballare attiva i medesimi neuroni che si attivano ballando in prima persona. In altre parole, il ballo favorisce l’empatia e ci aiuta a stabilire un legame con il prossimo – il risultato del ritmo condiviso che regola i movimenti di chi balla e ci porta a predire le «mosse» del nostro partner.

Se avete mai fatto l’amore ascoltando musica, allora saprete che il corpo segue un certo ritmo. Noi l’abbiamo fatto ascoltando Trey Songz, Rihanna, Roberta Flack e The-Dream – un po’ di tutto, insomma – e ci interrompevamo solo per fare qualche commento acido sui testi.

Prima di incontrarla sono stata single per sei mesi. Volontariamente. È stato il più lungo periodo che abbia mai trascorso da sola e speravo di raccogliere nuove informazioni riguardo alla mia capacità di coordinarmi con gli altri, di imparare qualcosa di più sui miei ritmi. Volevo imparare a riconoscere quelli che individuavo con un’altra persona, e a fidarmi completamente di essi. Se è vero che possediamo un istinto innato per riconoscere un potenziale partner collaborativo, come implica lo studio descritto sopra, non dovrei avere anche accesso a una qualche raffinata abilità percettiva? Forse quel periodo di solitudine e l’aver accettato l’incarico di scrivere questo saggio nascono dalla medesima esigenza: imparare ad ascoltare con più attenzione.

Ho fatto sapere agli amministratori dell’edificio in cui abito che collaborerò per alcuni giorni con una collega scrittrice. Non gli ho detto che la collega scrittrice è anche la mia ragazza. E non ho ancora deciso di che tipo di collaborazione si tratterà. L’idea di proporle di registrarci mentre lo facciamo ancora mi terrorizza. Ho paura della sua reazione, sì. E anche del disagio che potrebbe provocarmi questa cosa, nonché dell’intimità che potrebbe andare persa. Ho sempre paura di ciò che potrei scoprire, o non scoprire, come se l’esperimento potesse fallire, dimostrandomi che il nostro amore non è diverso, che non è altro che un semplice concerto di ormoni che svanisce in fretta com’è cominciato.

Storicamente il richiamo sessuale delle femmine è stato molto meno sondato rispetto a quello dei maschi. È un richiamo che avviene durante il coito, diversamente da quello maschile, e anche immediatamente prima o dopo. Quando ho inserito nella mia app musicale una registrazione dei richiami sessuali di un macaco Rhesus, con tutte le approssimazioni del caso è venuta fuori una melodia ricca di La e Re, con un Do finale al termine del coito. Certo, non erano versi propriamente melodiosi, ma quell’ultima nota a sorpresa potrebbe avere la funzione di stimolare il partner, un po’ come nei pezzi di Rachmaninov e Adele.

Le donne, come dimostrato da molteplici studi, emettono un numero maggiore di suoni vocali durante il sesso, ma per lo più a beneficio dell’uomo che di solito li trova più eccitanti di quanto non li trovi la donna stessa. Una ricerca ha dimostrato che il 68 per cento delle donne finge l’orgasmo per accelerare l’eiaculazione maschile, un motivo che spinge a emettere suoni durante il sesso molto più frequentemente che il vero piacere fisico.

Tuttavia uno studio del 1994 condotto da S. Kratochvil ha rivelato che le emissioni sonore delle donne durante la masturbazione non sono casuali, né eseguite per motivi particolari, bensì «collegate alle reali contrazioni dei muscoli perivaginali superficiali. Contrazioni che probabilmente sono legate alle varie ondate di piacere erotico».

In quanto donne io e la mia ragazza emettiamo più probabilmente suoni legati al piacere che alla prestazione. Inoltre per noi l’orgasmo non significa fine del sesso, perciò sarebbe inutile gridare per accelerare le cose.

«Dunque, stavo pensando che potremmo collaborare a questo saggio che sto scrivendo» dico al telefono pochi giorni prima che venga a trovarmi.

«Ah sì?»

«Sì».

«E che vorrebbe dire esattamente?» chiede.

«Pensavo che potrei provare a registrarci».

«Lo immaginavo».

«Ti va bene?» chiedo, con il cuore che batte come un martello.

«Sì» risponde lei. «Mi va bene». Anche da seicento miglia di distanza capisco che sorride.

La prima notte, in un albergo, lascio il cellulare nella borsa sul pavimento. Non ci vediamo da due settimane e siamo un po’ timide. Anche se non è una situazione spiacevole (so che passerà e che ce lo godremo, perfino, come un sintomo dell’amore in arrivo), sono certa che verrebbe esacerbata dalla consapevolezza della registrazione e che influirebbe sulla naturalezza dell’atto. Più tardi, però, mi rendo conto che lo stiamo facendo con grande abbandono e mi pento della mia decisione.

La sera successiva, dopo il sesso, riascolto i venticinque minuti di registrazione con le cuffie, mentre la mia ragazza si ritira nello studio a leggere un libro di poesie. Mi rendo conto che tende a emettere Do maggiori quando geme, e che nel venire le note spesso si confondono e il volume aumenta, senza un’apparente regola. La scienza ci dice che le parti del cervello stimolate dalle melodie sono associate anche al linguaggio e che reagiscono allo stesso modo sia di fronte a linguaggio inaspettato che nell’udire certe note musicali. Difatti, il fremito che provo nel riascoltare le melodie di Rachmaninov, diventate ormai familiari, è molto simile a quello che provo nel leggere le poesie della mia ragazza, o le frasi dei miei scrittori preferiti. E nell’udire i gemiti che emette quando facciamo sesso.

Mentre ascolto il crescendo di suoni nelle cuffie e la guardo leggere con grande concentrazione, mi immagino di entrare nel mio cervello e percorrere un sentiero che conduce a un’immagine, un suono inaspettati, e le sinapsi che si attivano, che inviano il loro invisibile fuoco attraverso il mio corpo, accendendomi come una lampadina.

Nella registrazione adesso tocca a me: sento un rumore di lenzuola e delle risatine, poi inizio a sentire i miei gemiti. Si scopre che anche quando faccio sesso emetto suoni in Sol, proprio come quando mi masturbo. Riesco a sopportarmi per una ventina di battute prima di dover abbassare il volume, perché sentirmi è tutta un’altra cosa rispetto a riascoltare lei. Tutto inutile, però, perché quando la voce registrata si avvicina all’orgasmo, si alza sempre di più. Sono sconvolta da quanto chiasso faccio, e mi copro il viso con le mani, sospirando di sollievo quando, finalmente, la me registrata viene.

«Urlo fortissimo!» esclamo dopo il quarto o quinto orgasmo, togliendomi una cuffia.

La mia amante annuisce. Lo sapeva già.

«Immagino che sia proprio da me» dico.

Annuisce di nuovo e sorride.

Appena riprende a leggere le lancio un’occhiata furtiva. Voglio assaporare questi istanti – con i raggi del sole che illuminano il pavimento, le sue lunghe gambe accavallate, il fruscio delle pagine del libro – in cui mi sento completamente a mio agio nel condividere con lei tante cose: questo insolito studio del nostro amore, le registrazioni, la sua totale accettazione della mia discutibile iniziativa. Se era un test, be’, direi che l’abbiamo superato. E questo momento in particolare è diverso dagli altri, come intriso di una consapevolezza di cui prima non sospettavo l’esistenza.

Mi sorprendo nello scoprire – non troppo, a dire la verità, dopo aver letto la ricerca degli austriaci – che anche quando faccio sesso emetto gemiti in 5/4, come quando mi masturbo. E, come i soggetti della ricerca austriaca, anche noi l’abbiamo fatto mantenendo un ritmo comune, i 3/4. Ne ho un’altra conferma isolando piccoli segmenti della registrazione. Scopro inoltre che manteniamo regolare anche il tempo, intorno ai 59 bpm. Nessun parallelismo, quindi, con Adele e Rachmaninov. Ben più simile è invece la versione di «Hallelujah» di Cohen, quella eseguita da k. d. lang, anche se non combacia perfettamente. Alleluia davvero!

L’elemento meno prevedibile, invece, è il tono dei miei orgasmi. Se nelle tre fasi di Eccitazione, Plateau e Risoluzione tendo a mantenere il familiare Sol, la fase dell’Orgasmo è a volte in Mi, altre alterna fra La e Do, altre ancora mantiene il Mi per dieci battute. È proprio l’imprevedibilità a rendere così piacevoli i brani di Adele e Rachmaninov, e a farmi apprezzare certi scrittori. Che sia piacevole, quindi, ascoltare anche i miei bizzarri orgasmi? Io non saprei dirlo, ma la mia ragazza è venuta tre volte ascoltandomi – come annuncia a bassa voce nella registrazione tra un mio grido e l’altro. Episodi del genere sono soltanto piacevoli errori nel grande progetto della natura? Io credo di no.

Quando torno a Rachmaninov dopo aver ascoltato il nostro sesso, mi torna in mente la teoria di Darwin secondo la quale la musica ha avuto origine dall’attrazione sessuale. Non esagero affermando che adesso per me quest’idea ha assunto un senso completamente diverso, il concetto per cui questo «linguaggio universale» delle emozioni e dei fenomeni fisici tra gli esseri umani ha avuto origine dall’interazione che così magnificamente descrive.

Tuttavia non sono convinta che c’entri qualcosa l’attrazione sessuale. Altre teorie, per spiegare l’origine della musica, parlano della musicalità della comunicazione vocale/gestuale tra madri e bambini, detta «maternese», che impiega melodia, ritmo e movimento per aiutare il neonato ad acquisire il linguaggio. Questo utilizzo di elementi «musicali» infarciti di intenzione e significato rende la teoria valida tanto quanto quella di Darwin. Un’esperta da me intervistata, la compositrice Emily Doolittle, ha affermato: «Non credo che la musica si sia evoluta da qualcosa, e neppure che la musica sia qualcosa di riconoscibile di per sé». Tuttavia per lei, come per me, le teorie basate sull’istaurazione di legami sociali sono più sensate di quelle prettamente sessuali. «I richiami sessuali, le dinamiche di gruppo e la comunicazione tra madre e neonato hanno a che vedere con la creazione di intimi rapporti interpersonali, seppur in contesti diversi – cosa che ovviamente vale anche per la comunicazione sessuale» mi dice. Naturalmente il desiderio di individuare una fonte unica per spiegare qualcosa di profondamente legato a forme basilari di comunicazione tra le specie è tipico dell’essere umano. Durante la mia ricerca ho scoperto che siamo tutti molto simili fra noi, dato decisamente confortante. Con mio grande piacere, quando ho fatto ascoltare la registrazione di me che facevo sesso a un compositore gay, di fronte al mio imbarazzo lui ha risposto: «Oh, io non ci vedo nulla di strano, è come ascoltare i versi degli animali allo zoo».

Ora sono in grado di spiegare meglio il legame tra la musica che dà piacere e la musica del nostro piacere? Non proprio, a dire il vero. Le conclusioni che ho tratto dalla mia ricerca mi hanno reso più sicura dell’esistenza di un legame tra il piacere dell’arte e quello fisico. Mi interessa maggiormente in che modo il nostro amore, a livello musicale e fisico, somigli a una canzone quanto agli stimoli che provoca, al ritmo e ai cambiamenti, alla sorpresa e alla prevedibilità. Ho scoperto che gli elementi «musicali», qualunque essi siano, facilitano la nascita di legami. E sono convinta che l’amore abbia una capacità inesauribile di sorprendere.  L’inaspettato – espresso nella musica, sì, ma anche nel tocco, nelle esperienze fisiche – mi tocca nel profondo, mi provoca fremiti, mi trova impreparata.

Viste da fuori, le esperienze che ho avuto a livello di rapporti intimi somigliano a una canzone che provoca il fremito: si sono verificate seguendo un certo percorso, prevedibile nel tempo, ma si sono concluse con un guizzo inaspettato. Lei. Un guizzo che mi ha smosso, fisicamente ed emotivamente. Della letteratura si dice che un buon finale deve essere al contempo inevitabile e sorprendente. Ho scoperto che la cosa vale anche per la musica, e per l’amore.

La sera dopo aver ascoltato la registrazione, prima che se ne vada di nuovo, facciamo l’amore per ore. Non registro niente, non conto gli orgasmi. Ascolto soltanto il rumore dei nostri corpi, i suoi gemiti, il suo respiro. È tutto così diverso da ogni canzone che abbia mai sentito. Dopo ci abbracciamo per metterci a dormire, ma inevitabilmente ricominciamo. E quando vengo, stavolta, riesco a sentirmi. È come l’ululato di un animale, così vicino che deve per forza essere dentro di me.

*

Melissa Febos ha autrice del memoir Whip Smart: The True Story of a Secret Life e della raccolta di saggi Abandon Me. I suoi scritti sono apparsi, tra gli altri, su Tin House, New York Times, Guardian, Kenyon Review, Poets & Writers, Prairie Schooner, Granta. Vive a Brooklyn.

Titolo originale: The Song of Songs @ Melissa Febos, 2017, all rights reserved