Questo racconto è apparso originariamente su Hobart il 16 dicembre 2013

Per scherzo chiami il tuo cavallo, ma di cavalli non ce ne sono. È un limpido mattino verde lattuga, gli uccelli cinguettano in cielo. Sei a piedi, segui i binari sgangherati ed esci dalla città, superando la stazione di servizio della Shell. Abbandoni la strada e ti inoltri in una morbida piana ricoperta di erba alta e dorata e calcinacci ingialliti. È strano. Non ricordi di aver mai visto una così vasta distesa di nulla da queste parti. Davanti a te incombe una vecchia stazione ferroviaria con i mattoni del colore del fango secco, spettrale, come nata direttamente dal terreno. Un corvo ti passa sopra al rallentatore, con le zampe torte come ganci sotto il ventre lucido. Ai tuoi piedi l’erba si apre come un sipario al passaggio di un serpente dalle tinte brillanti che punta con la piccola testa verso sud, come una freccia.

Accanto alla stazione sorge una casetta di cemento, dove su un cartello scritto a mano si legge che ogni viaggiatore è il benvenuto se in cerca di «consigli e previsioni per il futuro». Dall’abbagliante luce dorata sbirci dentro l’oscuro sbadiglio della soglia, poi entri.

Seduta a un tavolo di legno con indosso un paio di jeans e una camicia gialla, una donna legge il giornale fumando una Parliament. Alza lo sguardo, ti fa cenno di entrare. Non c’è nessun altro. Piega il giornale e lo usa per gesticolare.

«Lasciami indovinare» fa. «Non sai leggere i segni».

«Signora Gorse?» Perché è lei, la maestra di scuola elementare, l’esile donna che trent’anni prima ti ha insegnato a leggere. La spirale stretta di capelli biondi che raccoglieva all’altezza della nuca ora è una sfilacciata nuvola bianca. «Il punto non è mai stato imparare» ti dice, e spegne la sigaretta.

«Chiedo scusa?»

«A leggere» dice. Fa cenno col mento verso una sedia davanti a sé e tu ti siedi perché lo facevi ogni volta che te lo chiedeva. «Non è neanche mai stato questo il punto,» dice piegandosi verso di te «ossia saper leggere ogni cosa».

«Io non stavo leggendo proprio niente».

«L’uccello. Il serpente. L’orologio. L’erba stessa». Ripiega ancora il giornale e ride. «Non sai da che parte andare, vero? Non sai di cosa disponi, né cosa farne.»

«È lei che predice il futuro?»

«Posso sapere» comincia e si alza, girandosi verso uno stretto fornello a gas. Sul fuoco c’è un’enorme pentola d’ottone, dal quale solleva un mestolo di zuppa di zucca fumante. «Come ti sei trovata a passare di qui? Dove stavi andando?»

«Facevo una passeggiata».

«No, no, non dirmelo» la interrompe e sorride divertita. «Lo so. Mi ricordo di te. Sei un’avventuriera. Te ne vai in giro a osservare il mondo, a viverlo. È tutto una missione, un’impresa». Ti posa la zuppa davanti e un cucchiaio di metallo sul tavolo, lì accanto.

Guardi la zuppa, con le mani leggermente sollevate lungo i fianchi.

«Lo so che non me l’hai chiesta. Mangia». Prendi il cucchiaio, da sempre obbligata a seguire le sue istruzioni. «Ti calmerà lo stomaco, ed è una bella lezione». Si risiede davanti a te con il suo giornale e le sue sigarette. La zuppa è buona. Il suo calore ti sale fino alla punta alla testa, che sembra quasi sbocciare lì, nel buio.

«Scommetto che non sapevi di essere seguita».

«Come?»

«Per tutto questo tempo» prosegue la signora Gorse «ti ha seguito una creatura. Lo sapevi?»

«Ma è orribile». E lo è davvero.

«A volte ha un lavoro, altre degli amici. A volte trova riparo. Altre è sola, o si sente tale, e ti segue nascondendosi sotto i ponti. Fruga nella spazzatura per trovare da mangiare. Di notte dorme sotto il tuo letto. Ti sussurra nell’orecchio tutto il giorno. Tiene in tasca un coltellino con l’impugnatura d’osso. Un regalo del suo migliore amico».

Ti infili una mano in tasca e tiri fuori il coltello. Lo appoggi sul tavolo.

«Questo,» dici «è il mio coltello».

«Non confondere questa creatura e le sue motivazioni» dice la tua vecchia maestra «con ciò che sei».

Ti viene la pelle d’oca, gli occhi si riempiono di lacrime. Inizi a capire. Capisci? Stai iniziando.

«Sei venuta qui, convinta di trovare delle risposte» dice. «Non è così? Chiedi alla vecchia maestra Gorse, ti sei detta, magari mi predice anche il futuro, eh?»

«È questo che fa, ora?» Hai qualche dubbio.

«È una vecchia ricetta» dice notando che hai finito la zuppa. «Buona, eh? Alzati». Immagini che ora ti predirà il futuro – hai sempre creduto che fosse capace di fare magie, lo pensavate tutti – e ti guardi intorno alla ricerca di una sfera di cristallo o cose del genere, ma lei si limita ad accompagnarti alla porta, poi in strada, e indica il serpente.

Non sembra più una freccia, e non indica più il sud. È cambiata anche la luce. Ora c’è una coltre scura di nubi trascinata verso est dal vento del nord. «Arriva il temporale» dice la tua vecchia maestra «e ti ridurrà in cenere se non trovi un riparo. E,» continua «bada bene di non tornare da dove sei venuta». Guardi la strada che hai abbandonato per inoltrarti nel campo, ma c’è soltanto un porcile delimitato da uno steccato dipinto con vernice color crema.

Guardi in ogni direzione, senza parole.

Lei ride della tua confusione. «Bene» dice. «Molto bene».

«Che c’è da ridere? Qual è il mio futuro?»

«Il tuo futuro» dice, e nient’altro.

La pioggia inizia a scurire la terra intorno ai vostri piedi. Fa molto freddo e a poca distanza scorgi veli di foschia fluttuare da una parte e dall’altra. Fuochi di artiglieria esplodono sopra l’erba e la stazione. Ti giri a guardare la casa dove lei fa la zuppa e legge il giornale.

Ti agita l’indice sotto il naso. «No» dice. «Lì ci vivo io. Non tu». Apri la bocca per ribattere e lei ti preme il dito sulle labbra. «Fai silenzio» dice, come diceva spessissimo.

Il vento le solleva la punta dei capelli, e fa lo stesso con te. Ti stringi il cappotto addosso.

«Meglio se non cerchi di evitarlo». Si sbottona i primi bottoni della camicia, esponendo alla pioggia la gola e il petto.

Quando sei entrata nella casetta, hai visto che era una piccola topaia. Un mucchio di rifiuti e bucce. Ti basterebbe per sopravvivere, se riuscissi a trovare un posto dove nasconderti dal temporale.

«Ma quella» dice indovinando i tuoi pensieri «è la voce di quella patetica creatura affamata che ti insegue».

«E dove dovrei andare, allora?»

«E lo chiedi a me! Chiedi a me consiglio su una questione tanto importante? Non ti ho insegnato proprio nulla?» Stai per rispondere, vorresti urlarle attraverso la pioggia che se non sei brava a leggere e capire il mondo, di chi crede che sia la colpa, se non sua? Poi, però, ti accorgi che non è arrabbiata. Sta piangendo. Si copre il volto con le mani, le spalle strette che sobbalzano piano nella camicia fradicia.

«Non è colpa sua» le dici. Ti gira la testa. Sembra che la terra si stia inclinando. Lentamente ti inginocchi nel fango. «Mi…» dici. «Mi metto seduta qui un momento».

Lei alza lo sguardo dalle mani e ti osserva. Il fango le imbratta i jeans, coprendola pian piano dal basso verso l’alto, sempre di più. I suoi capelli sono un nido intricato che si richiude intorno a te finché, intrisa d’acqua fin nelle ossa, con il vento del nord che ti sferza e senza un orizzonte visibile in nessuna direzione, trovi pace e smetti di tremare. L’incantesimo è spezzato. Sarebbe così fiera di te, la tua vecchia maestra.

«Per l’amore del cielo!» era solita dire ai suoi alunni. «Prestate attenzione!»

*

Bonnie Nadzam è autrice di Lamb, che nel 2011 si è aggiudicato il premio Flaherty-Dunnan Prize per il miglior romanzo di esordio, e Lions, pubblicato quest’anno da Edizioni Black Coffee. I suoi scritti sono apparsi su Orion, A Public Space, Granta e The Kenyon Review.

Titolo originale Free Advice and Fortunes Told @ Bonnie Nadzam, 2013
Fotografia @Mariateresa Pazienza