Questo racconto è apparso originariamente su Hobart il 9 novembre 2016

Si appoggiano al muro di mattoni, dopo la scuola, sperando che tu non ti accorga di quanto hanno bisogno di essere desiderati. Tengono lo sguardo basso, sollevandolo di tanto in tanto tra un tiro e l’altro di sigaretta. Conosci i loro visi quasi meglio del tuo, ma loro neanche sanno come ti chiami. Possono mandarti su di giri con una sola occhiata e farti perdere il senno con un paio di parole ben assestate, lasciandoti per giorni in preda al capogiro e al desiderio di riprovare l’esperienza.

Le ragazze più grandi pianificano l’attacco. Si tirano su la gonna e aprono i primi bottoni della camicetta, ma noi ci ridiamo su perché non è che possano fare un granché, dato che siamo tutti vestiti allo stesso modo. Le ragazze si avvicinano al muro a coppie, ridendo di battute immaginarie per attirare l’attenzione, mostrare ai ragazzi quanto siano disinvolte, che spasso sarebbe stare con loro, che sanno flirtare così bene. Dai, invitami a uscire, dicono tutte. Ne varrà la pena.

Ma ai ragazzi non interessa quel genere di spettacolo. Non gli piacciono le ragazze che ridono forte e sorridono in continuazione. Sono quelle che pranzano tutte sole a interessargli, quelle che distolgono lo sguardo come se stessero fissando il sole quando passa uno dei ragazzi. Si scelgono con cura e attenzione le proprie conquiste. Se sei tra le fortunate, ricevi un tocco delicato sulla spalla in corridoio, o qualche frase sommessa mentre passi. Non sussurrano nulla più di una data, un orario e un luogo, e non ti rimane molto altro da fare se non torturarti, consumata dalla trepidazione. Che cosa indosserai? Come devi vestirti? Sono dettagli che ti sbranano viva, all’improvviso diventano quanto di più importante esiste al mondo.

Non è che siano i ragazzi più belli della scuola – non sono i più intelligenti o sciccosi, e di certo non i più eloquenti. Perché piacciano è un mistero per chiunque non sia caduto sotto il loro incantesimo. Secondo il mio amico Andrew le ragazze preferiscono sentirsi in pericolo accanto a una creatura misteriosa che può far loro del male, piuttosto che sentirsi al sicuro con una persona affidabile e gentile. Me lo dice con un misto di rabbia e tristezza, e abbassa lo sguardo alla fine, come se avesse rivelato troppo. Valuto le sue parole, l’importanza della conclusione, la gravità della sua insinuazione, tuttavia lui non è uno dei ragazzi appoggiati al muro, e a parte me nessun’altra ragazza sa che Andrew esiste, perciò non so decidere se ha ragione oppure se è soltanto geloso.

Anche mio padre li odia, quei ragazzi. «Stai alla larga da loro, mi hai capito?» mi avverte sulla soglia della nostra camera, aspettandosi quella che per lui è l’unica risposta accettabile. «Non sono brave persone» prosegue. Dice di conoscere i genitori, di sapere da che razza di famiglie vengono, che la mela marcia non cade lontana dall’albero morto. È difficile non credergli.  Nella nostra minuscola cittadina tutti conoscono tutti, e sanno praticamente tutto quello che succede. Papà conosce nomi e cognomi di quei ragazzi, sa cosa fanno, o fingono di non fare, i genitori per vivere. Durante queste ramanzine guarda negli occhi me, non mia sorella maggiore Charlotte, perché sa che io gli do retta e prega che obbedisca.

L’amic di Charlotte, Sarah, usciva con uno di quei ragazzi. All’epoca ero una matricola e mi ricordo che Charlotte aiutava Sarah a prepararsi nel bagno di casa nostra. Lui le aveva detto di farsi trovare allo stadio del football, a tarda sera, e lei era talmente nervosa che le tremavano le mani mentre si metteva il mascara. Io ero seduta sul gabinetto e cercavo di non disturbare, perché era di per sé un miracolo che Charlotte mi avesse permesso di rimanere con loro mentre chiacchieravano. Però non riuscii a trattenermi e chiesi: «Che hanno di tanto speciale? Sono solo ragazzi».

Charlotte e Sarah si scambiarono un’occhiata e risero della mia domanda, ma capii che non avevano una risposta. «Sei troppo piccola, non puoi saperlo» disse alla fine Sarah applicandosi il rossetto. Sembrava che le avessero spalmato sulle labbra succo di ciliegia, ammirava quel colore allo specchio. Ma quando studiai il suo riflesso la guardai negli occhi, e non ci vidi nulla di nulla. Erano grosse pozze azzurre in cui voleva con tutta se stessa che qualcuno andasse a nuotare. Sarah non sapeva cosa rendesse tanto speciale quel ragazzo. Sperava soltanto che glielo dicesse, se c’era qualcosa di speciale in lei.

Sarah veniva parecchio a casa nostra, ma una volta uscita con uno di quei ragazzi appoggiati al muro, non la vedemmo più molto. Lui assorbiva ogni suo momento libero. Uscirono insieme per qualche mese, e all’inizio Sarah sembrava felice, ma avevo la sensazione che qualcosa, in lei, fosse cambiato. Prima mi salutava in corridoio, anche se il suo gruppo di amiche mi conosceva solo come «la sorella di Charlotte», e io rispondevo al saluto, felice di essere considerata da una ragazza più grande. Poi però smise. Mi guardava attraverso come se non ci fossi. A quei tempi, quando la incontravo, sembrava che avesse visto un fantasma, qualcosa che le era entrato dentro andando a turbare tutto ciò che conosceva. Ma col passare del tempo era sempre più difficile capire chi era il fantasma, se noi o lei.

Iniziò a saltare la scuola, prima qualche giorno, poi settimane intere, e alla fine iniziò a girare la voce che non sarebbe più tornata. Ormai lei e Charlotte si erano perse di vista, e nella nostra famiglia tutti concordavano che fosse meglio lavarsene le mani, non fare domande. Sentivo mia sorella parlare al telefono con le amiche, diceva che la relazione di Sarah con quel ragazzo era degenerata in fretta. Ricordo che un giorno avevo provato a salutarla nel parcheggio della scuola, ma era troppo presa a litigare con lui per qualcosa che non avevo capito. Le stringeva il polso e la sbatacchiava qua e là, come una bambola, in ogni direzione. Non avevo fatto nulla né l’avevo detto a nessuno perché non credevo fosse possibile farci qualcosa. Quel giorno ero tornata a casa in ansia per Sarah, ma al calar del sole anche la mia preoccupazione si era affievolita, e alla fine mi ero addormentata pensando che, anche se il loro rapporto non era perfetto, era comunque molto fortunata a stare con uno di quei ragazzi.

Quando se ne andò, a scuola non riuscivamo a parlare d’altro. Davano la colpa a Sarah, dicevano che si era isolata dalle amiche e che non aveva più importanza capire perché avesse mollato la scuola. Dicevano tutti che era colpa sua. Ma nessuno diceva niente sul ragazzo della parete, né gli facevano domande su cosa fosse successo. Non aveva importanza. Lui si riprese il suo posto tra gli altri e andò avanti come se non fosse successo nulla.

Eppure non credo che quei ragazzi siano crudeli – non tutti, almeno. L’altro giorno uno mi ha rivolto la parola. Niente di che, una frase sussurrata mentre mettevo nell’armadietto il libro di francese. È finita prima ancora che me ne rendessi conto. Ma mentre lo guardavo allontanarsi mi resi conto di aver ricevuto una data, un orario e un luogo in cui recarmi, un evento che finalmente potevo aspettare con trepidazione. Era bello essere stata scelta, che qualcuno volesse passare del tempo con me, una persona che ancora non mi conosceva.

So bene cosa dicono tutti dei ragazzi del muro, gli avvertimenti che ho ricevuto. Ma non sai come ci si sente, finché non ti capita. Se un giorno dovesse capitarti, allora saprai di cosa parlo, come ci si sente a galleggiare tra le nuvole per aver sfiorato una di quelle spalle, a rimuginare sulle parole che ti ha rivolto agli armadietti, cogliendoti di sorpresa. Correrai a casa e ti precipiterai in camera per gridare di gioia in un cuscino, perché ai ragazzi non piacciono le ragazze chiassose, e che problema c’è, in fondo?

Forse sei tu quella che cerca, il motivo per cui è sempre stato tanto cauto. E forse funzionerà tutto alla perfezione – la data, l’orario, il luogo – un primo incontro che darà il là ad altri incontri, ad altre parole, fino a quando finirai per condividere con il ragazzo del muro qualcosa che nessun altro ha. E forse non ti farà del male, non ti porterà via dal profondo qualcosa che non sai neanche come descrivere a parole, non ti riempirà di una tristezza troppo grande da sopportare. Forse ti permetterà di brillare come prima di conoscerlo, e sarai tu ad avergli rubato qualcosa, e anzi, avrai addirittura portato via dal muro uno dei ragazzi. Allora sì che ne sarà valsa la pena.

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Anthony Casella è stato di recente finalista al Mark Twain House & Museum Royan Nonesuch Humor Award.

Titolo originale: Boys Everybody Wants @ Anthony Casella, 2016, all rights reserved
Fotografia @ Mariateresa Pazienza