Questo racconto è apparso originariamente su Hobart il 15 marzo 2018

 

Ritta sulle punte accanto al carrello di metallo della spesa, mia figlia mi disse che servivano altre due buste di Colby Jack. Ritrassi la testa e le spalle da uno dei frigoriferi verticali allineati lungo una parete di frigoriferi verticali. Avevo già preso sei o sette buste di formaggio grattugiato: due di mozzarella, due di mexican mix e quattro di Colby Jack. Man mano che le buttavo nel carrello, lei le contava. D’un tratto il fratello minore allungò un braccio e le tirò l’orecchio sinistro.
«Ehi!» fece lei. «Ti ho detto basta».
«No che non l’hai detto» disse lui.
«Non darle fastidio» intervenni io.
«Ma non mi aveva detto basta». Mio figlio sbuffò e si mise a esporre le sue ragioni: «Neanche un minuto fa stavamo facendo questo gioco che l’orecchio era il tasto Pausa. Me l’ha lasciato fare almeno cinque volte e non mi ha mai detto che il gioco era finito».
Una donna ben vestita si fermò a breve distanza. Doveva avere la mia età o qualcosa di più e, a giudicare dagli stivali, dal cappotto e dagli orecchini, i soldi non le mancavano. Dando la schiena all’isola delle pizze surgelate, rimase a guardare la scena.
Chissà perché, decisi che volevo fare colpo. Sapevo che il nostro piccolo dialogo andava a inserirsi nel ben più ampio dibattito culturale sulle molestie sessuali, la violenza, il potere e il consenso: vale a dire che, insegnando a mio figlio a rispettare l’autonomia del corpo della sorella, avrei dimostrato che forse c’era speranza di guarire questo mondo dalla misoginia. In ogni caso, ero lì che cercavo di non fare passi falsi e di essere il più chiaro possibile, e tutti questi pensieri mi passarono per la testa in meno di mezzo secondo.
«Se lei dice basta, è basta» spiegai a mio figlio.
«Ma non l’ha detto…»
«Anche se la prima volta non l’avevi sentita…»
«È lei che non l’ha…»
«Anche se non è vero che ti ha detto basta quando sostiene di avertelo detto…»
«Non me l’ha…»
«… tu comunque prima di toccarla devi sempre assicurarti di avere il permesso».
«Ma stavamo…»
«Niente ma, giovanotto» dissi. La donna aveva gli occhi puntati su di me. «Devi sempre chiedere il permesso, e se lei dice no vuol dire no. Sempre».
Mio figlio scosse la testa e si allontanò imbronciato verso lo scaffale dei panini a lievitazione naturale.
«Altri due Colby Jack» disse mia figlia.
Rivolsi un sorriso alla donna, ma lei era intenta a digitare sul cellulare. Tornai a infilare la testa nel frigo per prendere il Colby Jack e immaginai che quella raffinata femminista stesse annunciando agli amici di Facebook che, ebbene sì, ogni tanto ci si imbatteva in un uomo perbene, uno capace di insegnare al figlio il rispetto del corpo della donna. Mi domandai quanti Mi piace avrebbe ottenuto il post, quanti cuori, quante faccine stupite e quante con la lacrimuccia.
Ma girandomi per riporre le buste nel carrello, mi balenò in testa che forse stava solo aspettando che mi levassi dai piedi per prendere il formaggio che le serviva. Le feci un cenno col capo. Lei evitò di incrociare il mio sguardo. E mia figlia si attaccò all’angolo del carrello mentre proseguivamo per la corsia in cerca dello yogurt.

*

Eric Bosse è l’autore di Magnificent Mistakes, «splendidi errori», in tutti i sensi. I suoi racconti sono stati pubblicati su The Sun, Zoetrope, The Collagist, FRiGG, Wigleaf e New World Writing. Vive in Oklahoma con la moglie e i figli.

Titolo originale Shredded Cheese, @ Eric Bosse, all rights reserved
Traduzione di Eva Allione